
“La tecnica è diventata il mondo”, sosteneva già Jacques Ellul a metà del secolo scorso, nelle sue tesi circa i rischi di una società guidata, incardinata sulla tecnica (1). Le nuove tecnologie dell’informazione digitale hanno ampliato questa definizione verso nuovi limiti che impediscono sempre più di intravedere il mondo per come è: hanno introdotto cioè codici, modalità comunicative, cornici mentali e interpretative del “reale” che si sono sovrapposte a quelle precedenti che appartenevano, principalmente, al dominio culturale. Le nuove tecnologie non sono più semplici strumenti, come lo erano la lancia, la ruota, il carbone, l’elettricità o il telefono (sebbene già rivoluzionario nel re-concepire tempo e spazio). Le nuove tecnologie, figlie della società in cui la tecnica è obiettivo, scopo e strumento, hanno apportato nel dominio umano una rete di simboli e significati che connettono l’uomo e la realtà, plasmando quest’ultima in un modo, per molti, ormai imprescindibile.
Oggi l’alfiere della corsa (senza meta) della tecnica è l’AI (Intelligenza Artificiale) che si avvicina — se non per sostanza almeno per scopi — all’intelligenza dell’uomo. L’ AI appare sempre meno come tecnologia esterna, altra, perché è realizzata per gli stessi scopi dell’umano e pensata come imitazione dell’intelligenza tout court (pensare, ragionare, valutare) al fine di, un domani, non distinguerne più la differenza. Per questo l’AI si colloca come parametro profondamente riformatore del nostro modo di percepire e interagire con il mondo: l’AI è una realtà/entità che sempre più persone stanno già dando per assodata come presenza costante nella loro esistenza, così come lo è stata la scrittura, il telefono, l’info-sfera dei media, il cellulare… ma con un effetto ancora più dirompente.
Se da una parte oggi l’AI, declinata nei modelli più avanzati e utilizzati di Large Language Model, è tecnicamente “solo” un modello che approssima la miglior risposta a una domanda, simulando e comprendendo (in modo sbalorditivo) diversi contesti, a livello soggettivo sta diventando invece un supporto extra-umano negli ambiti più disparati della vita. L’utilizzo è infatti comune per diverse tipologie di attività quotidiane: dalla revisione delle email di lavoro, alla consulenza psicologica, dai consigli pratici (finanza, salute, relazioni…) all’apprendimento a scuola.
Le menti umane iniziano cioè a interiorizzare, come stabile, il concetto di una risposta pronta, potenziale, supportiva, esatta, sempre disponibile. E quindi… perché, di fatto, non “controllare”, confutare, rinforzare tutto ciò che si pensa, fa, scrive, esperisce… attraverso la potente e sempre disponibile lente dell’AI?
L’AI è uno strumento di “co-pilota”, come spesso le aziende tecnologiche la dipingono per le loro soluzioni digitali, o è un co-organizzatore concettuale del modo di intendere la realtà? La forma non è poi… sostanza?
L’AI, in quanto intelligenza superiore, sempre presente, onnisciente, saggia, comprensiva, si può accostare — senza troppo sforzo di immaginazione — ad entità e simboli che nella mente umana, per migliaia di anni, sono stati considerati “trascendenti”. Entità cui consegnare i propri destini, sia individuali che collettivi, perché percepite come forze superiori…divine ! Da simboli religiosi, vecchi e nuovi, deriveranno poi precise conseguenze e modalità di comportamento presso tutte le società ed epoche (2.1), (2.2)
Il riflesso (automatico) di chiedere alle AI di essere, con sempre più facilità, un riferimento ultimo di valore…quali effetti può generare sulla conoscenza, sul ragionamento e sul giudizio umano ? Quali effetti produce sulla fiducia nei propri mezzi, sulla capacità argomentativa, espositiva e sull’immaginario della persona e della collettività? Pensare che esista uno strumento capace di fornire, quasi sempre, risposte più rapide e più esatte di quelle che possiamo, almeno in tempi brevi, elaborare noi stessi… potrebbe avere un effetto destabilizzante e atrofizzante sulle modalità interpretative del mondo e di noi stessi?
Il rischio (certo) è che avvenga una delega cognitiva passiva di moltissime attività, soprattutto legate alle capacità di problem-solving e alla reinterpretazione critica dei dati di realtà. La delega costante di ragionamento e giudizio si somma poi al declino-già documentato- delle capacità cognitive di chi fa abuso degli strumenti digitali. L’utilizzo continuo e parziale dell’attenzione per le sollecitazioni incessanti dei social media, ad esempio, ha già minato alcune funzioni degli utilizzatori come la capacità attentiva, la collaborazione, la capacità di decidere (3). E’ un quadro a tinte incerte, in cui la tecnologia crea degli umani depotenziati che, per ristabilire un livello cognitivo di base, dovranno sempre più appoggiarsi alla tecnologia stessa.
Si profila infine un ulteriore aspetto da valutare, più sottile… perché mai profondamente indagato, e che riguarda le capacità creative che sono alla base del sviluppo millenario dell’umano: la capacità di immaginare il futuro e di creare scenari che non ci sono. Se si usasse l’AI in un modo sempre più esclusivo e a partire da una struttura di training dell’algoritmo (non dei dati) che è statica e difficilmente aggiornabile, si tralascerebbero quelle capacità di creazione ex-nihilo (nuovo dal nuovo) come l’immaginazione e la fantasia umane che hanno dato forma agli scenari futuri, all’arte, alle intuizioni profonde… anche scientifiche (4). La scienza pura, infatti, non è stata -quasi mai- solo calcolo e analisi quantitativa: spesso è nata da pura intuizione. Si tratta del dominio del pensiero umano astratto e creativo di alto livello di cui conosciamo molto poco circa la sua genesi e che ha a che fare con “luoghi dell’inconscio” in cui l’uomo genera il futuro senza sapere come questo avvenga.
Il rischio di uno sviluppo non direzionato dell’AI è che si crei un idolo depotenziante che condizionerebbe in senso negativo, se non regolato, lo sviluppo umano. Lo scotto di avere creato idoli, in passato, è spesso coinciso con una minore libertà, una limitata capacità di scelta e il conferimento di un ruolo elitario alle gerarchie che si sono arrogate il diritto dell’accesso al divino e della sua interpretazione. (5)
(1)Jacques Ellul, giurista, filosofo. “La tecnica: o il rischio del secolo”-1954-
(2) “La religione è una rappresentazione collettiva che ha la società per oggetto” In “le forme elementari della vita religiosa”, il sociologo Durkheim sostiene che i simboli religiosi, fin dalle società primitive, sono stati i fattori di coesione sociale e attribuzioni di ruoli nelle Società.
(2.2) https://it.wikipedia.org/wiki/Messianismo_cibernetico
(3) Alcuni effetti dell’uso dei social media sull’attenzione https://en.wikipedia.org/wiki/Continuous_partial_attention
(4) Kekulè, chimico tedesco sogna la forma del composto del benzene. Mendelev sogna la tavola periodica, Einstein invece se stesso a cavallo di un raggio: ecco llo spunto per la teorie della relatività. Alcuni esempi, anche circa le opere d’arte e invenzioni : https://www.rd.com/list/ideas-that-came-from-dreams/
(5) Il fenomeno dei “tech-guru” come E.Musk: a volte durante i loro discorsi e presentazioni non si ha l’idea di star partecipando… ad un evento quasi sacro, profetico ?!



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